1° Congresso Europeo di Educazione Biocentrica – Conferenza di Edgar MORIN

1° Congresso Europeo di Educazione Biocentrica 

15-17 luglio 2011 – Nantes

www.education-biocentrique.com

Conferenza di Edgar MORIN

Sociologo francese, filosofo e pensatore contemporaneo che esercita una forte influenza nella riflessione sul mondo attuale. Direttore di ricerche emerito al CNRS e dottore honoris causa in 30 università. Riconosciuto per la sua opera profetica che ricorda l’urgenza e la necessità concreta e vitale di rifondare l’educazione. Ha scritto molteplici opere, di cui la sua maggiore è: “la méthode”. Presiede il centro di Educazione Biocentrica di Nantes.

Cos’è la conoscenza?  Cosa significa essere umano

Occorre riformare profondamente i nostri sistemi di istruzione e di educazione da molti punti di vista. Ora, parlerò di un solo punto di vista che riguarda le materie che si insegnano e partirò da una formula che ha espresso il fondatore della Biodanza. Questa formula si ritrova nel libro pedagogico di J.J. Rousseau che si chiama “l’Émile”. Che cosa dice l’insegnante parlando del suo allievo? Dice: voglio insegnargli a vivere!

Vivere. Naturalmente non si può insegnare che ad aiutare a vivere, non si può inculcare la vita ma si può aiutare ciascuno a vivere, cioè ad affrontare i problemi, a trattare i problemi della sua vita. E i problemi non sono soltanto professionali, sono anche quelli della vita quotidiana di ciascuno. Certamente la grammatica, la matematica aiutano a vivere in società ma ci si rende conto che i problemi più importanti, più fondamentali della vita non sono inseriti nell’insegnamento, non sono trattati nell’educazione. Perché?

Perché il nostro insegnamento, fondato sulla separazione delle discipline, taglia in piccoli pezzi questi problemi fondamentali che ho presentato nel mio libro “le 7 conoscenze necessarie all’educazione del futuro” (1). Ad esempio, non si insegna la comprensione umana, non si insegna ad affrontare le incertezze, mentre ognuno va ad incontrare nella sua vita molte incertezze. Non si insegnano le trappole e le difficoltà della conoscenza.  Non si insegna che vuol dire essere umano. Non si insegna cos’è l’epoca in cui viviamo, che io chiamo l’era planetaria e che viene chiamata “mondializzazione”. Perché non si insegna tutto ciò? Perché per comprendere questi problemi, occorre prendere elementi di conoscenza presenti in discipline che sono separate tra loro.

Comincerò con l’idea della conoscenza.

L’idea della conoscenza

In generale, s’insegnano le problematiche della conoscenza in filosofia e nemmeno nelle lezioni di filosofia, ma in quelle che si chiamano di epistemologia, la riflessione sulla conoscenza. Però, è un argomento che si dovrebbe insegnare fin dalle prime classi e durante tutto il corso di una vita d’allievo e di studente. Perché? Perché, quando riflettiamo sulle conoscenze del passato, ci rendiamo conto che le certezze per quelle persone del passato sono per noi degli errori e delle illusioni. Quando osserviamo le religioni del passato, pensiamo che siano religioni ingannevoli. Quando osserviamo anche la scienza del 19° secolo, costatiamo che sono sopravvissute a questa scienza due grandi teorie: la termodinamica e la teoria dell’evoluzione. Se osserviamo le credenze politiche, sul nazismo, coloro che hanno creduto al fascismo, al comunismo staliniano, coloro che hanno creduto al maoismo, si pensa oggi che sono illusioni ed errori. E quando si pensa che dopo, si è proposto il neo-liberalismo come la soluzione di tutti i problemi umani, ci rendiamo conto sempre di più di quanto esso sia non una verità scientifica ma un’illusione. E sapete ciò che ha detto Descartes: “è tipico dell’errore, che non lo si riconosce come tale; quando si è nell’errore, non si sa che ci si è dentro”. Ma è un errore  sottovalutare l’importanza dell’errore. Rischiamo incessantemente di illuderci e a volte ciò ha delle conseguenze, che possono essere vitali se ci si sbaglia nella scelta della persona con cui si andrà a vivere, o se ci si confonde nella scelta di una carriera. Se un generale commette un errore nella sua strategia, le conseguenze sono estremamente gravi per le persone.

Allora perché vi è un rischio d’errore nella conoscenza?

Qualsiasi conoscenza è una traduzione ed una ricostruzione. Ad esempio la conoscenza visiva: la percezione che ho di voi attraverso i miei occhi, non è una fotografia che i miei occhi hanno scattato di voi.

Nell’immagine retinica che ho, le persone dell’ultima fila sono piccole, molto più piccole delle persone della prima fila ma di ciò non ho coscienza, perché c’è un meccanismo chiamato: costanza percettiva, che fa in modo che io non veda come dei giganti le persone della prima fila e come dei nani quelli dell’ultima fila, ma vedo tutti nella stessa dimensione normale. Ciò significa che anche nella percezione più semplice, esiste una traduzione: gli stimoli luminosi che raggiungono i miei occhi sono tradotti in un codice binario trasmesso dal nervo ottico e, dopo avvengono delle trasformazioni istantanee molto complesse del cervello. Ecco, questo è ciò che si chiama percezione. Se parliamo di parole, osserviamo che le parole sono traduzioni di percezioni e di ricostruzioni, come le teorie che sono traduzioni scaturite da parole e da ricostruzioni. In altre parole, la conoscenza non può sfuggire all’interpretazione, alla traduzione e alla ricostruzione. C’è sempre un rischio di errore nella traduzione: gli Italiani dicono: “traduttore traditore”; i traduttori sono dei traditori. Per esempio, è molto difficile tradurre una poesia da una lingua ad un’altra.

La teoria dell’informazione di Shannon e Weber, sviluppata negli anni ‘40, ci ha insegnato qualcos’altro.

L’informazione richiede un mittente e un destinatario e un canale tra i due: il telefono, l’atmosfera, l’aria … Qui, oggi, il canale è l’aria, attraverso il quale trasmetto a voi le mie parole. Tuttavia, questa teoria suppone due cose: innanzitutto che l’emittente e il ricevitore abbiano la stessa lingua, lo stesso codice linguistico. Se parlo in francese ad un cinese, egli non mi capirà.

Supponiamo dunque che mittente e ricevente abbiano lo stesso codice. Poi, nel canale, c’è quello che la teoria chiama rumore, “noise” in inglese: questo è il rumore di sottofondo che disturba la comunicazione.

Quando date un numero per telefono, di solito, ripetete i numeri in modo che non ci siano errori; o quando siete in cerchio, come quando giocate a “sussurrarvi” una parola nell’orecchio di ciascuno, quando la parola ha fatto il giro del cerchio, essa è deformata (distorta).

Il rischio permanente è quindi la deformazione dell’informazione, la deformazione della conoscenza. La conoscenza è un’avventura molto pericolosa.

Cosa succede se non s’insegna questo a cominciare dall’infanzia, le persone devono essere sicure di quello che dicono, sicure della loro memoria, della loro percezione. L’esperienza dimostra che quando ci sono diversi testimoni dello stesso evento, le testimonianze sono diverse le une dalle altre, perché ognuno l’avrà vissuta a suo modo. C’è un libro, la testimonianza di un Inglese che si chiama Norton. Egli ha raccolto le testimonianze di veterani della guerra del ‘14-‘18: a seconda della località, della nazionalità, la testimonianza dello stesso evento era completamente diversa. Ecco un altro esempio personale: mi trovavo a un bivio dove c’erano dei semafori, rosso da un lato e verde sull’altra strada. In quel momento vedo una macchina all’incrocio che investe un ciclista, mi precipito per soccorrere il ciclista e per sgridare il conducente, ma egli mi dice: io sono passato col verde e il ciclista è passato col rosso. Pertanto, contrariamente alla mia percezione (il “grosso” ha travolto il “piccolo”), era il piccolo che era precipitato sul più grosso. Così possiamo sempre sbagliare, e perciò  dobbiamo insegnare il rischio dell’errore. Si tratta di una questione fondamentale.

Una seconda cosa che riguarda la conoscenza, è che non è sufficiente descrivere un evento per comprenderlo, occorre inserirlo nel suo contesto.

Se considerate un evento imprevisto, come la rivolta in Tunisia o in Egitto, quando tutto sembrava stabilizzato, siamo sorpresi, siamo piacevolmente sorpresi. Cerchiamo di capire, di contestualizzare la situazione sociale, politica, storica… Tutto deve essere contestualizzato.

La stessa parola in un contesto diverso può avere un significato opposto. Se per esempio, la persona che amate vi dice: “Vieni tesoro” è un invito molto tenero. Ma se è una prostituta per strada che vi dice: “Vieni, tesoro “, è piuttosto una richiesta mercenaria e questa non ha lo stesso significato. Purtroppo, ci insegnano a isolare gli oggetti della conoscenza, ma non ci insegnano mai a contestualizzare. In che modo iscrivere nel contesto, credo sia qualcosa di fondamentale. Una conoscenza pertinente non è una conoscenza che isola, è una conoscenza che si collega. Quindi tutto questo dovrebbe iniziare dalle prime classi di scuola.

La questione è di sapere i limiti della mente umana, i limiti della ragione umana. Damasio e Jean-Didier Vincent che hanno studiato il cervello con mezzi ad immagini visive, hanno dimostrato che una ragion pura, senza le emozioni non esiste. Anche il matematico ha una passione per la matematica.

C’è sempre un centro emozionale che è messo in moto quando si mette in moto una attività razionale. Quindi l’idea che si possa vivere secondo una ragione pura è un equivoco. Inoltre, una ragione “fredda” ha i suoi limiti, e come dice Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. “L’amore può essere sia chiaroveggente che super-cieco”. Si può essere chiaroveggenti per amore, si sa, perché per amore, comprendete, conoscete, scoprite le qualità della persona che amate, ma potete anche essere accecati dalla passione e vedere una persona meravigliosa anche quando non lo è del tutto.

Ciò significa che ci deve essere sempre la razionalità nel cuore della passione, ma bisogna sempre anche avere la passione nel cuore della razionalità. E dobbiamo anche avere l’amore, la simpatia per capire un’altra persona. Non abbiamo bisogno solo di dati oggettivi (l’età, il fisico, …), ma è necessario anche un movimento di simpatia, empatia per entrare nella sua anima. Se vedete qualcuno piangere, vi fa un minimo di compassione perché sentite il suo dolore e sareste capaci di aiutarlo. Così la conoscenza richiede anche la comprensione che è molto di più della conoscenza e include la conoscenza. Essa richiede anche questo slancio di simpatia e di cuore.

E’ bene ricordare che bisognerebbe introdurre in tutti i livelli di insegnamento la  conoscenza della conoscenza: conoscere la conoscenza, conoscere i problemi, le difficoltà, l’illusione e l’errore è di vitale importanza.

Non ci hanno mai insegnato ciò che siamo, ciò che significa essere umano? Il filosofo Heidegger, ha dichiarato: “Mai si è avuta così tanta conoscenza sull’uomo e mai si è saputo così poco di cosa significa Essere umano!”.

Perché? Perché non solo non viene insegnato ciò che è un essere umano, ma anche perché, le discipline sono separate le une dalle altre.

Cosa sono le scienze umanistiche e la sociologia?

La sociologia studia le strutture della società e tende generalmente a dissolvere l’individuo. Le persone scompaiono in sociologia, ma se fate psicologia, gli individui sono essenziali ma improvvisamente la società, l’ambiente tende a scomparire.

L’economia è una scienza basata sul calcolo, ma il calcolo è incapace di comprendere l’amore, la paura, l’odio, il desiderio, … tutti i sentimenti; tutto ciò che ci rende umani. E ogni volta che si verifica una crisi, la maggioranza degli economisti è stupita: non avevano previsto. Quindi, non solo essi sono chiusi nei loro calcoli ma non si rendono conto che l’economia è parte di tutta la storia umana, della vita umana, delle passioni umane.

Quindi, abbiamo queste scienze sociali e umane che non comunicano tra loro. Ma abbiamo una cultura portata al linguaggio, abbiamo ciò che chiamiamo la mente, ma la mente è inseparabile dal cervello.

Tuttavia, il cervello si studia in biologia e la mente in psicologia, mentre sono cose collegate. E ci rendiamo conto che la conoscenza umana è divisa in due: una parte si chiama scienze umane e ignora la nostra realtà biologica e animale, e l’altra parte biologica e animale che ignora il nostro aspetto culturale e umano. Eppure, sappiamo dopo Lamarque e Darwin, dal 19° secolo, che è accaduta sul pianeta Terra una cosa straordinaria che è l’evoluzione biologica, che è partita da un essere unicellulare, che si è trasformato in piante e animali e noi, noi siamo dei primati, i fratelli dei primati. Siamo cugini delle scimmie, siamo dei mammiferi e questi sono animali le cui femmine hanno i seni, per allattare i neonati. Da quei mammiferi che hanno molta affettività e curiosità, noi abbiamo ereditato.

Quindi siamo dei vertebrati. Siamo animali fatti di 300 miliardi di cellule. Ognuno di noi è una repubblica di miliardi di cellule. Quando diciamo oggi che 7 miliardi di persone non possono essere organizzati in modo armonioso, allora che ne pensate delle centinaia di miliardi di cellule che sono ben organizzate nell’organismo umano?

Le cellule sono costituite da molecole. Le molecole costituite da atomi e questi sono fatti di particelle. Ora sappiamo che queste particelle sono apparse 15 miliardi di anni fa con l’origine della vita e che gli atomi si sono formati durante i primordi dell’universo; che gli atomi di carbonio necessari alla vita sono nati dall’incontro di tre nuclei di elio in un sole che ha preceduto il nostro sole, che ha solo 4 miliardi di anni. Tutti questi elementi si sono uniti, raggruppati, tanto che le molecole e le macromolecole hanno formato la terra e i vortici, la Vita è nata. In altre parole, portiamo in ciascuno di noi la storia dell’universo e siamo figli del cosmo, figli della Terra. Ma c’è una differenza per la coscienza, per la cultura. Noi ci siamo differenziati dagli altri animali, pur rimanendo degli animali. E’ questa doppia identità umana che cerchiamo, che abbiamo di fronte e non riusciamo a capire perché tutto è separato. Siamo anche motori termici, operiamo a quasi 37° di temperatura normale e conteniamo in noi questa cosa straordinaria che è l’organismo vivente, così, la nostra meccanismo si rompe perché lavoriamo giorno e notte. Il nostro corpo lavora, il nostro cuore batte, i polmoni respirano, il nostro sangue circola, senza sosta …

E che cosa significa lavorare?

E’ consumare energia. E’ per questo che abbiamo bisogno di nutrirci per aiutarci a recuperare. Ciò significa che a forza di lavorare, le nostre cellule si degradano, le cellule muoiono, e allora produciamo nuove cellule. Significa che viviamo della morte delle nostre cellule, poiché, grazie alla rigenerazione delle cellule, ci rigeneriamo invecchiando. Una formula del grande filosofo Eraclito vissuto nel  VI secolo a.C., diceva: “vivere della morte e morire di vivere.” Vivere di morte significa non solo che viviamo abbattendo degli animali per il cibo ma anche che viviamo con la morte delle nostre cellule, in modo che la vita lotta con l’aiuto della morte interiore. E morire di vivere: a forza di ringiovanire, diventa molto faticoso, così invecchiamo!

E’ molto interessante il fatto che noi sappiamo ciò che siamo. Se si prende la fisica, la chimica, la biologia, le scienze umane, che cosa ci manca? La scienza ci mostra gli esseri umani, ma oggettivamente non soggettivamente, non quello che succede dentro di loro circa i loro sentimenti, le loro passioni.

Cos’è che può mostrare la soggettività umana? E’ il romanzo, la letteratura. E’ meraviglioso, la letteratura! Potete pensare  forse che sia fatta solo per il piacere, per il divertimento, per passare il tempo, ma non è tutto. La letteratura è un mezzo per conoscere noi stessi e conoscere gli altri. Sia che prendiate Balzac, Dickens, … vedete gli esseri umani nei loro sentimenti, nel loro amore, nel loro ambiente, nel loro contesto e anche nel loro quadro storico come in “Guerra e Pace” di Tolstoj.

Vediamo lì proprio questa dimensione della vita umana che le scienze non ci fanno vedere. Quindi, la letteratura è un mezzo straordinario di conoscenza e anche un modo di sentire, di simpatizzare, e infine un mezzo meraviglioso per scoprire noi stessi.

Non avendo ricevuto personalmente, come molti, una cultura dalla mia famiglia, sono molto felice e ringrazio mio padre di non avermi dato una cultura. Sono così stato costretto a trovare la mia verità nei libri.

Ho trovato due verità fondamentali:

  • La prima è il dubbio, lo scetticismo che ho trovato in Anatole France e in Montaigne.
  • La seconda è la compassione, la necessità di capire gli altri, la complessità altrui, che ho trovato in Dostoevskij e in Tolstoj. La letteratura aiuta a capire ciò che è l’essere umano e a capire noi stessi come esseri umani.

Per quanto riguarda la poesia, è bellissima, è un piacere recitare poesie. Ho un grande amico che si chiama Stéphane Hessel che conosce a memoria poesie in tedesco, francese, inglese e prova una grande soddisfazione nel recitarle. Quando era in un campo di concentramento, durante la guerra perché era nella resistenza, si recitava queste poesie. E non c’è solo la poesia scritta, c’è anche la poesia della vita, la poesia di vivere ed è molto importante per conoscere gli esseri umani. La nostra vita si alterna tra una parte prosaica e una poetica.  L’aspetto prosaico corrisponde alle cose che ci infastidiscono, che siamo obbligati a fare per vivere, per guadagnarci da vivere, ma spesso si perde la propria vita guadagnandosela!

Ma sono questi doveri, questi vincoli, questa prosa che ci servono per sopravvivere. Però, sopravvivere non è vivere.

Vivere è fiorire, è entrare in comunione, è amare, per cui la poesia della vita è della massima importanza.

 Cosa sarebbe allora l’etica, la morale?

La morale è la possibilità di aiutare ciascuno a vivere poeticamente per la realizzazione di sé. Se comprendete che la poesia della vita è qualcosa di estremamente importante, capirete che più importante di ogni altra cosa è che troviamo armonia con gli altri, l’amicizia, la gioia, il gioco, l’amore, la simpatia, la festa; che sono queste le cose più importanti. E sono questi i valori che il surrealismo, il magnifico movimento di pensiero sorto in Francia nel 20° secolo, ha compreso e apprezzato dicendo che bisogna vivere poeticamente, e non semplicemente fare o recitare la poesia. Così l’esperienza di conoscere l’essere umano, di sapere che cosa siamo, è essenziale.

Occorre riconoscere ciò che io chiamo la complessità umana. Definiamo l’essere umano come homo-sapiens, o sapiente: ragionevole, saggio. Si definisce l’umanità in relazione agli altri esseri viventi, per il fatto che gli esseri umani sono dotati di ragione. Ed è vero! Le capacità razionali dell’essere umano sono straordinarie, ma dimentichiamo l’altro lato dell’umano o homo demens, cioè la follia. La follia non è solo propriamente un disagio, una disabilità; alcune persone che sembrano prive di ragione, vengono chiamate pazze e le ricoverano in ospizi; ma la follia può scaturire anche in tutti noi, come durante la collera. Ci è impossibile vedere chiaro quando siamo arrabbiati, furiosi contro qualcuno, r lo detestiamo. La follia è presente in tutti questi errori. Quella che gli antichi Greci chiamavano hubris, o eccesso, corrisponde alla follia della nostra civiltà occidentale, che ha voluto lanciarsi nel 19° secolo alla conquista della natura, al dominio del mondo, del potere. Questa volontà di conquistare il mondo (e ce ne siamo accorti solo da pochi decenni) è un suicidio. Manipolare il mondo vivente ha portato al degrado della biosfera e a tutti quei problemi ambientali che oggi sono evidenti. Si è creduto che avremmo potuto trovare la salvezza dell’umanità nel potere, nelle potenza e ora ci rendiamo conto che non solo è un errore, ma che ci impedisce di vivere la poesia della vita, compresa la comunione e la comunione con la natura.

Così l’hubris, l’arroganza, la pazzia, il delirio sono presenti, come in tutti i grandi conquistatori, Gengis Khan, Napoleone, Hitler che sono stati trascinati dalla follia, da un eccesso.

Viviamo in due poli: un polo razionale, che se è troppo razionale, ci fa mancare di vita, di poesia; e un polo affettivo, che se è eccessivo, può portare alla follia. Abbiamo bisogno di ragionare nella passione  e di passione nella ragione, e assumerci in quanto esseri umani.

In “Verso la sobrietà felice”, Pierre Rabhi, un mio grande amico, mostra che per vivere felici, è bene vivere in modo sobrio, soprattutto nei nostri consumi, evitando l’eccesso, e io aggiungo che abbiamo bisogno di alternare periodi di vita normale, sobria con periodi di “festa” in cui possiamo essere nell’eccesso, persino nell’ebbrezza. Alternare momenti di sobrietà con dei momenti in cui ci si diverte davvero: questa è la vita, vivere secondo le due polarità.

Torniamo sulla definizione di essere umano che è anche “homo faber“, vale a dire, l’uomo che costruisce strumenti. Se alcuni animali come i bonobo e anche le lontre marine utilizzano strumenti, è ovviamente l’umanità che ha creato le più avanzate attrezzature, come archi, frecce, martelli, officine, macchine.

Siamo una specie che ha sviluppato la tecnica.

Ma c’è ancora un altro aspetto: l’homo mythologicus, il produttore di miti e credenze. Quando ho scritto il mio libro “L’uomo e la morte“, ciò che mi aveva colpito, è della preistoria, l’uomo di Neanderthal, il nostro cugino, che ha fatto non solo i primi utensili, ma ha seppellito i suoi morti con i cibi e le armi, e in posizione rannicchiata, fetale. Ciò significa che la fede nella vita dopo la morte esiste fin dagli inizi dell’umanità. Questa credenza esiste sia sotto forma di un intangibile spettro, sia sotto quella di una rinascita come nuovo essere in forma umana, animale o vegetale. Queste due convinzioni fondamentali in tutta l’umanità preistorica, anche arcaica, si sono trasformate nel corso della storia in due filoni:

- quello della rinascita ha dato luogo alla metempsicosi, alla trasmigrazione, nel mondo indiano e asiatico, nel quale si rinasce. Per Buddha, dobbiamo uscire a questo ciclo per ritornare nella fusione totale, il Nirvana;

- quello del mondo occidentale che è evoluto verso la convinzione che i morti vivevano in determinate regioni, per esempio per i Greci, i morti vivevano una vita sminuita negli Inferi come delle ombre. Nell’Odissea, quando Ulisse va a visitare gli Inferi, incontra Achille, il grande eroe greco della guerra di Troia che gli dice: “sai, è meglio essere un piccolo calzolaio vivo sulla Terra che il grande Achille morto.” In altre parole, i morti vivono in un vita limitata, ridotta.

Da allora sono nate nel mondo mediterraneo le religioni della salvezza, cioè, non quella vita ristretta dopo la morte ma la resurrezione, a condizione di obbedire a dei riti sul modello di un dio che muore e resuscita come l’egiziano Osiride. Il fondamento del cristianesimo si riassume in ciò che è stato espresso da Paolo: se divenite Cristiani, resusciterete come Gesù; Colui che dà una risposta alla morte. In tutta l’umanità, si ha questa fenomeno religioso. Se si guarda la società nordamericana, si scopre che da nessuna parte, la tecnica e la scienza sono più sviluppate e che in nessun’altra parte, la religione è anche così presente. Così l’essere umano non è solo un essere tecnico, ma è anche un essere religioso. Naturalmente, ci sono diversi tipi di religione: le religioni con più Dei, politeistiche, che nella maggior parte dei continenti e anche in India, sono state sostituite dalle religioni monoteistiche la cui sorgente è la religione ebraica, giudea, cristiana.

Tra le religioni monoteiste, ci sono il Cristianesimo e l’Islam che promettono la salvezza, il paradiso. Ma queste religioni hanno avuto un relativo declino, soprattutto il cristianesimo. Poi sono venute le religioni “senza dei”. In primo luogo, si è avuta una religione della nazione: il culto della nazione con la bandiera, cerimonia, Milite Ignoto … E nel secolo scorso, ne è apparsa un’altra: una religione della salvezza terrena, il comunismo che prometteva la felicità e l’armonia non in cielo ma sulla Terra grazie alla rivoluzione che avrebbe eliminato lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Questa magnifica intenzione non poteva essere realizzata, e si è tradita da sola. Ma abbiamo avuto una religione della salvezza terrena, e ci sono così diversi tipi di religione. Credo che non si possa sfuggire alle religioni, all’essere uniti agli altri da un sentimento di comunità.

Oggi, potremmo proporre una religione della Terra-patria; patria è una parola interessante, comincia in modo paternale e finisce al femminile nella maniera maternale: la madre patria. Queste due nozioni mitologiche: paterno/materno fraternizzano, come ben dice l’inizio della Marsigliese: “allons enfants de la patrie“. Siamo tutti dei figli, siamo fraternizzati. Dobbiamo guardare alle patrie così come sono, ma c’è soprattutto una patria umana, planetaria in cui dobbiamo vivere in pace, per una vita nuova. Bisogna vivere questa sentimento di comunità, di figli della Terra, di cittadini della Terra e questa è un nuovo tipo di religione.

Però è una religione non di salvezza ma di distruzione, anche se questo è uno schock. Siamo persi su questo pianeta, in un universo gigantesco, non sappiamo perché la Vita è nata, non sappiamo perché siamo nati, perché moriamo, siamo perduti. Quindi cerchiamo di essere fratelli, sorelle, perché siamo persi eppure non siamo fratelli e sorelle, tanto saremo salvati! E’ un modo di pensare che io non vorrei imporre a nessuno.

Nella natura umana, c’è questo aspetto religioso, non solo con gli dei, ma un profondo bisogno, la necessità di legame tra noi umani, di comunità. Quali sono le nostre aspirazioni fondamentali? Maggiore autonomia, più libertà ma anche più comunità. Alcuni credono che la libertà da sola sia sufficiente, altri che la comunità è sufficiente.

Aspiriamo ad essere sia indipendenti che della comunità. Se riflettiamo sull’essere umano, capiamo come stiamo cercando di realizzare la poesia nella vita, e questa poesia si può aiutare a realizzare nella comunità e nella libertà. Difficile, ma vale la pena tentare! Viveret Patrick dice “quello di cui noi abbiamo bisogno, soprattutto nella nostra civiltà dove oscilliamo tra l’iper-eccitazione, il cronometrismo, il movimento, lo snervamento e la  stanchezza, la depressione, la malinconia, (passiamo dall’eccitazione alla depressione dell’eccitazione), è realmente di cercare di combinare la serenità con l’intensità.” La serenità senza l’intensità diventa vuota e l’intensità senza la serenità produce troppa eccitazione. Dobbiamo unire le due cose.

Se continuiamo a riflettere su ciò che è l’essere umano, e se lo si insegna come materia di istruzione, si farà comprendere che si può dare, trovare un significato alla propria vita. Non penso ad un significato nascosto che si dovrebbe trovare; il senso della vita va trovato in noi stessi. In particolare, il significato più profondo della vita è l’unico che ci permette di resistere all’angoscia della morte. La morte è qualcosa che ci angoscia, non è solo il decadimento fisico è la scomparsa del “me, Io”, questo “io” che è il nostro unico tesoro personale.

Che cosa può resistere alla morte? Il Cantico dei Cantici ha detto: l’amore è forte come la morte. Credo che sia un po’ esagerato. L’amore non è forte come la morte, ma quasi altrettanto forte. Ma, ciò che può respingere l’angoscia di morte, è la pienezza della vita, la pienezza dell’amore, è amare gli altri. Ciò che è importante, è che se si muore, le persone che amiamo continueranno a vivere. Sottolineo ancora una volta che questa riflessione sul cosa significa ‘essere umano’ non è assolutamente insegnata, e completamente ignorata nel nostro sistema educativo.

Si è anche definito l’essere umano, dallo sviluppo dell’economia, come homo economicus, vale a dire che esso si determina sulla base dei propri interessi individuali. Sempre più spesso nella nostra cultura, c’è questa sviluppo egoistico, egocentrico e la ricerca di un interesse personale. Un antropologo storico Visigniga ha definito l’essere umano come homo ludens (il gioco). Ci piace giocare, il gusto infantile del gioco è stato conservato negli adulti. Ci piace vedere una partita di calcio, giocare a ping-pong. Il gioco è l’opposto dell’interesse: nei giochi, ci spendiamo. Non c’è solo il consumo, che è un’attività mercatistica, ma anche la “consumazione”: noi brilliamo di un fuoco più grande, e questa è proprio la poesia della vita. Se si conosce il significato di questa complessità umana, cambiano tutte le nostre visioni, e questo ci dà l’opportunità e la capacità di capire gli altri.

E vengo al punto più importante, se non facciamo progressi nella comprensione degli altri, progressi personali, auto-miglioramento, come possiamo sperare di avere una vita migliore.

Ciò che avvelena la vita, che ci dà mille inferni quotidiani, è l’equivoco, l’incomprensione, come ad esempio succede in una coppia che litiga, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra colleghi di lavoro…,  e anche la mancanza di comprensione verso persone di culture, usi, costumi, tradizioni o religioni diverse dalla nostra.

In questo mondo di molteplici comunicazioni in cui si può telefonare in qualsiasi angolo del pianeta, l’incomunicabilità sta crescendo sempre di più, malgrado tutti i mezzi  materiali e tecnici. Perché? Perché siamo sempre più bloccati nell’individualismo. Eppure non ne capivamo il motivo, perché eravamo intrappolati nella nostra cultura con i suoi riti e i suoi dogmi e non capivamo chi aveva una diversa cultura o religione. Oggi, attraverso il cinema, la televisione, il viaggiare, si conoscono molto meglio le culture degli altri, ma si comprendono meno le persone. Perché? Perché l’individualismo che ci ha portati a volerci sempre dare la “parte buona” e a riversare sugli altri gli errori, i crimini, i difetti, la malvagità.

Questo è il processo di auto-giustificazione permanente che ci impedisce di capire gli altri.

Ciò che gli Inglesi chiamano “auto-inganno” corrisponde al mentire a se stessi: prima di mentire agli altri, si mente a se stessi, ci si inganna. Respingiamo tutto ciò che si è fatto di male ed è negli altri che vediamo il male! Si diventa sempre più insensibili agli altri. Mi affido a due nozioni. La prima viene da un pensiero del filosofo Hegel: “Se io chiamo criminale qualcuno che ha commesso un crimine nella sua vita, cancello tutti gli altri aspetti della sua persona, quello che ha fatto di bene per bloccarlo nella nozione di criminale”. Quando andiamo in una prigione, vediamo che questi esseri che hanno commesso dei crimini hanno anche aspetti non delinquenziali e sono capaci di redenzione e di trasformazione. La formula di Hegel non vale solo per i criminali, riducendo gli altri ai loro aspetti peggiori, li si nega.

Capire l’altro, è capire che esso può avere dei difetti, delle carenze, delle debolezze, delle menzogne, degli inganni … ma se guardiamo noi stessi, noi siamo perfetti? Non abbiamo anche noi difetti, mancanze, … Se comprendiamo meglio noi stessi, abbiamo una migliore comprensione degli altri e questo è un passo del tutto assente dai nostri sistemi educativi.  Comprendere, è comprendere la complessità altrui e la nostra stessa complessità personale.

Il secondo punto riporta l’attenzione sulla questione della letteratura, del cinema, del teatro.

Quando guardate un film di Charlie Chaplin, voi simpatizzate con questo vagabondo; ma quando uscite dal cinema e vi trovate davanti un vero vagabondo, non lo guardate allo stesso modo, lo disprezzate. E perché? Grazie alla pellicola cinematografica, è possibile accedere a questa simpatia, ai sentimenti che permettono di vedere tutti gli aspetti umani di quel vagabondo, ma quando si ritorna alla “vita normale” si dimentica quella simpatia e si preferisce essere indifferenti. Allo stesso modo, quando vedete “Il Padrino”, vedete un capo mafia, un criminale, ma vediamo che non lo è, non è che un criminale e simpatizziamo con gli altri suoi aspetti, specialmente per le sue relazioni familiari e d’amore. Così, siamo molto più umani, molto più comprensivi quando vediamo o leggiamo Shakespeare in “Delitti & castighi” e poi ridiventiamo inumani nella vita quotidiana. Non potremmo incoraggiarci, far sì che questa umanità, questa comprensione che troviamo attraverso le arti, e la letteratura, passino anche nella nostra vita quotidiana? E ciò dovrebbe entrare nei nostri sistemi educativi.

I grandi artisti in un’opera di pittura o di musica ci insegnano una profonda verità umana.

Vorrei fare due esempi. Nella Cappella Sistina in Vaticano, vi è un bell’affresco di Michelangelo, del dio creatore che tende la mano verso Adamo che si risveglia alla vita: i suoi occhi sono aperti ma egli ancora non vede, è Dio che gli dona il soffio della Vita. Dio è circondato da angeli, ma se si guarda attentamente, egli è abbracciato ad una persona di sesso femminile che non è un angelo, ma una donna.

Michelangelo ha voluto dire, trasgredendo la sua religione, che per creare, non è necessario solo il principio maschile, ma anche il principio femminile. Questo artista rivela una verità che è nascosta nella religione e che si è impegnato ad illustrare.

Come per Beethoven, nel suo ultimo quartetto per l’ultimo movimento, ha sentito il bisogno di scrivere: E’ possibile? Che questa vita sia così dolorosa, così terribile è possibile? Ed egli ha risposto: sì, ciò deve essere possibile! Così, egli ha unito la ribellione con l’accettazione. Cioè, per ribellarsi, dobbiamo accettare di vivere: accettare la vita, ma ribellarsi contro gli orrori, contro la barbarie della vita.

Parlandovi della comprensione umana, mi trovo in sintonia con la Biodanza e con ciò che essa pone come fondamento filosofico, antropologico, per dire che è sull’empatia, sull’affetto che dobbiamo concentrare i nostri sforzi.

E ora giungo a trattare il mio ultimo tema: Insegnare e affrontare le incertezze

Tutte le scienze dibattono su problemi irrisolvibili: l’origine dell’universo, la materia del mondo micro-fisico, il futuro dell’universo, se si va verso la dispersione o un nuovo inizio. Vivere è navigare in un oceano di incertezze ma attraverso delle isole e degli arcipelaghi di certezze. Quindi, vivere è appoggiarsi su piccole certezze.

Questo ci porta a quella che io chiamo l’ecologia dell’azione. Questo significa che quando si decide un’azione, essa si inserisce in un ambiente sociale, un ambiente naturale, essa cesserà di obbedire alla vostra intenzione per subire le determinazioni e le influenze dell’ambiente. Non basta avere buone intenzioni per compiere buone azioni: “L’inferno è lastricato di buone intenzioni”, dice il proverbio. E’ necessario essere capaci di seguire la propria azione e se questa prende una “cattiva” strada, modificarla ed eventualmente distruggerla.

Noi vediamo nella storia, che coloro che hanno iniziato una guerra con la certezza della vittoria, sono caduti alla fine, nella sconfitta. Il fallimento storico di Napoleone, Hitler, Stalin dimostra che le azioni eseguite con l’ottica di un risultato possono portare ad un disastro. Questo ha due conseguenze: in primo luogo, quando si prende una decisione, è necessario sapere che si sta facendo una scommessa incerta. La sfida è permanente in ogni decisione che prenderete. Una volta fatta questa scommessa, è necessario sviluppare una strategia che consenta di cambiare l’azione in funzione delle condizioni, delle circostanze, degli eventi che possono accadere.

Ultimo punto circa l’identità umana: Essere umano, è una trinità.

C’è la trinità divina inseparabile del cristianesimo. Sono diversi, ma sono la stessa persona: il Padre genera lo Spirito Santo che genera il Figlio, il quale poi rigenera il Padre. Il Padre diviene molto più gentile dopo l’intervento del Figlio. La trinità umana, consiste nel fatto di non essere solamente un individuo, ma essere anche un momento, un parte di una società; e anche un momento, una parte della specie umana. E queste non sono tre cose contrapposte; non si è al 30% individuo, al 30% sociale e al 30% organico; ma si è al 100% individuo, al 100%  sociale e al 100% biologico.

Siamo, nello stesso tempo, i prodotti e i produttori della nostra specie. Siamo il prodotto perché c’è voluta una riproduzione sessuale affinché nascessimo, ma per far sì che questo processo continui, ci vogliono almeno due individui, uomo e donna per riprodurci. Lo stesso vale per la società, creiamo la società dalle nostre interazioni e una volta che la società esiste, che ha una cultura, un linguaggio, essa retroagisce su di noi. La cultura e il linguaggio consentono di esprimerci come esseri umani. Siamo dunque, nello stesso tempo, i prodotti e i produttori della società e dell’umanità. Le tre cose sono perciò  inseparabili.

Che cosa significa tutto questo sul piano etico? Noi abbiamo tre direzioni di doveri.

La prima direzione è verso di noi, per il nostro stesso onore e utilità e per le persone che amiamo, si tratta di doveri personali. Abbiamo anche obblighi sociali, soprattutto se la nostra è una società democratica, ove abbiamo dei diritti. Ma questo non basta! Noi dobbiamo contribuire al funzionamento della comunità che è la società. E siamo anche esseri umani e per la prima volta, la specie umana vive in una comunicazione, che si può definire una comunità di destino. Noi tutti abbiamo, qualunque sia il nostro continente, gli stessi problemi fatali da affrontare: la distruzione della biosfera, la proliferazione delle armi nucleari, lo sviluppo dei fanatismi religiosi, etnici e altri, un’economia completamente incontrollata e soggetta alla dittatura della speculazione finanziaria, per non parlare di tutti i problemi demografici. Abbiamo gli stessi problemi vitali e le stesse esigenze di realizzare una comunità umana che io chiamo Terra patria. Quindi, ora abbiamo tutti dei doveri. Quelli che vengono chiamati anti-globalizzazione (no-global) sono quelle persone che per prime hanno preso coscienza di volere un altro mondo che non sia consegnato alla mercificazione mercantilistica. Queste prospettive ci illuminano su questo percorso dell’essere umano.

Concludo dicendo che ci sono stati nella storia dei ribelli per la libertà, contro l’oppressione. Spesso dei giovani mi dicono: siete stati fortunati nella vostra epoca perché avete potuto impegnarvi pienamente per libertà perché la Francia era occupata dall’esercito nazista e voi lottaste per la libertà del vostro paese e dell’umanità. Questo è vero, ma la magnifica causa per la quale abbiamo combattuto aveva le sue ombre. Una di queste ombre è che siamo rimasti del tutto indifferenti alle colonie che la Francia possedeva e devo dire che il giorno stesso della vittoria, il 5 maggio 1945, l’esercito francese ha massacrato degli Algerini a Setif. La crudeltà della guerra in Algeria, durante la sua ricerca dell’indipendenza, fu terribile. Non pensavamo che le colonie erano oppresse da noi. Ci siamo preoccupati solo della nostra invasione da parte dei Tedeschi.

Un’altra ombra è l’Unione Sovietica. Stalingrado è un esempio straordinario, Vassili Grossman nel suo libro “Vita e destino”, dice: “Stalingrado è la vittoria più grande e la più grande sconfitta per l’umanità. La più grande vittoria, perché ha salvato il mondo dal nazismo e la più grande disfatta, perché ha consolidato il dispotismo di Stalin per molti anni“. E’ vero la nostra causa era buona, ma aveva la sua ombra.

Oggi la causa dell’umanità, della comprensione umana, della Terra patria, è quella di sfuggire a un pericolo mortale, di trovare una nuova strada, non quella attuale che ci porta alla catastrofe, una nuova via che ci permetta di intraprendere una metamorfosi, una formidabile trasformazione.

Questa causa è giusta, non ha ombre ed è in questa direzione che noi tutti dovremmo  impegnarci!

(1) “I 7 saperi necessari per l’educazione futura” – Edizione Seuil – 2000

(2) “la Via. Per il futuro dell’umanità“- Edizione Fayard – 2011

Traduzione a cura di Giulia Mori – agosto 2011

Questo articolo è stato pubblicato il giovedì, 15 settembre 2011 alle 14:16 e classificato in Educazione biocentrica. È possibile seguire tutte le repliche a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. I commenti sono attualmente chiusi, ma puoi fare il trackback dal tuo sito.

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